lunedì 17 maggio 2010

Dimessi

Scajola smentisce le dichiarazioni della moglie, che lanciava qualche simpatico avvertimento. Probabilmente, l'ex ministro andrà via di casa: ha già fiutato un affarone.

Quello che non capisco però è il perché di tutta questa bufera su Scajola. Perché non si dimettono anche tutti gli altri, a cominciare da Berlusconi?

Sottoscrivo quanto segue (pubblicato da kutavness.blogspot.com):

Il buon esempio

Pur non essendo (per ora) formalmente indagato, Scajola ha rassegnato le dimissioni. In attesa che Silvio lo salvi dalla raccolta differenziata con uno strapuntino al Ministero delle Infrastrutture, con delega alla rotta aerea Roma-Albenga, segnaliamo i colleghi del buon Claudio ar Colosseo che potrebbero utilmente trarre esempio dal comportamento dell’ex ministro, avendo motivi ben più validi per darsi finalmente all’ikebana.

Roberto Maroni (Interno). Condannato definitivamente a 4 mesi e 20 giorni per resistenza a pubblico ufficiale durante la perquisizione della polizia nella sede di via Bellerio a Milano; pena commutata nel 2004 dalla Cassazione in una multa. Se anziché suonare il jazz avesse fatto un po’ di palestra, a quest’ora la sua fedina penale sarebbe immacolata.

Umberto Bossi (Riforme). Condannato in via definitiva a 8 mesi per finanziamento illecito per 200 milioni di tangente Enimont alla Lega. Altra condanna definitiva per vilipendio alla bandiera italiana (commutata in multa), per aver invitato a usare il Tricolore per “pulirsi il culo”. Che musoni, ‘sti giudici!

Altero Matteoli (Infrastrutture). Indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreto d'ufficio in relazione all'inchiesta su un ecomostro in costruzione a Marciana, sull’isola d'Elba. L’uomo giusto al posto giusto.

Giulio Tremonti (Economia). Nel 2001 dichiara un buco da 62 mila miliardi di lire che non c’è, nel 2009 dichiara meno di quarantamila euro al fisco. Prima il male, poi il rimedio.

Roberto Calderoli (Semplificazione normativa). Condannato per quella simpatica bagatella con l’amico Maroni, indagato nel 2007 a Lodi per l’affaire Antonveneta, indagato nel 2006 per offesa a confessione religiosa mediante vilipendio grazie alla sua spassosissima maglietta con le vignette anti-Islam, e successive allegre proteste anti-italiane con 11 morti a Tripoli.

Ignazio La Russa (Difesa). Indagato nel 2008 per apologia di fascismo. Ma va’?!

Franco Frattini (Esteri). Nel 2008 rimane alle Maldive dopo lo scoppio della crisi tra Russia e Georgia. Così imparano a uccidersi a Ferragosto.

Mara Carfagna (Pari opportunità). Promossa ministro per meriti sul campo, ha brillantemente dimostrato di essere perfetta per il suo ruolo, sbagliando di soli 14 anni l’anno del primo voto alle donne. E dichiarando che in Italia l’omofobia non è più un problema. Le aggressioni a Roma erano solo manifestazioni troppo focose dell’amore di cui è intriso il Governo.

Renato Brunetta (Funzione Pubblica). Lo spietato e ringhioso censore dell’astensionismo nella Pubblica Amministrazione, tra il 1999 e il 2008 è stato al Parlamento Europeo, ove si è distinto per la sua assidua presenza, pari a ben il 48,21% delle sedute, al 611° posto su poco più di 700. Ottimo predicatore, ma pessimo razzolatore.

Stefania Prestigiacomo (Ambiente). Cresciuta nell’azienda di famiglia, non esattamente ecocompatibile (un petrolchimico), indagata nel 2008 per peculato, nuclearista convinta. Al suo confronto, Attila era di Greenpeace.

Angelino Alfano (Giustizia). Un ministro della Giustizia che presenta un lodo giudicato incostituzionale. Serve dir altro? Non si è dimesso, ma almeno si è scaricato tutte le leggi sull’IPhone. Quelle bruciate da Calderoli.

Maurizio Sacconi (Lavoro e politiche sociali). Ignora la lettera di Marco Biagi che chiedeva un rafforzamento della scorta. Indagato per violenza privata nell’affaire Englaro: fosse per lui, e per tanti altri, sarebbe ancora viva e vegeta(tiva). Ah, poi ci sarebbe da dire che aveva la delega sulla Salute mentre la moglie era (ed è) presidente di Farmindustria, ma ce ne laviamo le mani.

Maria Stella Gelmini (Pubblica Istruzione). Nel 2000 è sfiduciata da presidente del Consiglio Comunale di Desenzano del Garda per inoperosità. Ritrovatasi senza lavoro, va a fare l’esame da avvocato a Reggio Calabria, dove il tasso di promozione è il più alto d’Italia. Già: perché affannarsi? Continuiamo a prendercela comoda!

Michela Vittoria Brambilla (Turismo). Indagata nel 2008 per scarichi non autorizzati del canile municipale di Lecco (i cui volontari, dopo aver segnalato tali irregolarità, furono cacciati dalla stessa Brambilla), responsabile del flop del marchio Magic Italy, infine beccata mentre fa il saluto romano alla festa dei Carabinieri di Lecco. Non si è dimessa perché col cazzo che lascia le sue autoreggenti a quella troietta della Carfagna.

Ferruccio Fazio (Salute). Gestisce disastrosamente il caso influenza H1-N1. Non solo non se ne va, ma è subito promosso ministro. E’ la meritocrazia, bellezza.

Sandro Bondi (Cultura). Mette a capo della Direzione Generale per i Musei l’ex AD di Mc Donald’s, che ricambia lanciando il Mc Italy. Taglia quasi a zero i fondi del Ministero. Poi nomina commissario dell’Area Archeologica Romana uno che di rovine se ne intende anche troppo: Guido Bertolaso. Ma non si è neanche dimesso da Vanity Fair, figurati dal Governo. La separazione da Silvio lo condurrebbe al suicidio.

Raffaele Fitto (Affari Regionali). Scrive l’Unità di ieri: “Ha due rinvii a giudizio. Il primo per una presunta tangente da 500mila euro che avrebbe ricevuto (quando era governatore della Puglia) dall’imprenditore Angelucci per un appalto da 198 milioni nella sanità. Per questa storia il ministro nel 2006 ha scontato 40 giorni ai domiciliari. Il secondo rinvio a giudizio è per concorso in turbativa d’asta: Fitto è accusato di aver favorito una azienda amica nell’aggiudicazione della Cedis, un’azienda della distribuzione alimentare”. Lui ci aveva anche provato, a dimettersi, ma solo perché aveva insistito per candidare Rocco Palese, uno che “con quella faccia lì, è impresentabile”, come aveva detto il lungimirante Silvio. Dimostrata l’inferiorità mentale di quel pivello, il magnanimo Capo lo ha poi perdonato. Purché non ci provi più.

Gianfranco Rotondi (Attuazione del programma di Governo). Dovrebbe dimettersi semplicemente per la sua inutilità, a prescindere da condanne o altro. Persino il 74% degli elettori del PdL, a una domanda su di lui, hanno risposto “CHI?”. E, alla seconda domanda, il 92% ha risposto: “Ma a che cazzo serve un ministro per l’attuazione del programma di Governo???” (Fonte: sondaggio di Silvio delle ore 15.32. Smentito alle ore 15.33).

Se tutti avessero la sensibilità di Scajola, alla fin fine al Governo dovrebbe rimanere solo Andrea Ronchi, ministro delle Politiche Comunitarie. Mah, allora forse è meglio che restino lì.

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