lunedì 5 aprile 2010

Anche il Fatto nella casta?
























Ecco un articolo molto interessante di Filippo Facci, uscito su Libero sabato scorso e ripreso da Dagospia: il Fatto, che si presenta come l'unico quotidiano indipendente perché senza finanziamenti pubblici, prenderebbe circa 300mila euro di contributi indiretti.

"Non c'è niente di drammatico nell'appartenere alla famigerata casta dei giornali: purché chi vi appartiene non combatta una battaglia contro la famigerata casta dei giornali. E' il caso de Il Fatto, sotto la cui testata c'è scritto che «Non riceve alcun finanziamento pubblico» anche se non è vero, anzi, è decisamente falso.
Affianco alla citata frasetta, infatti, in piccolo, si legge «Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv. in L.270/02/2004) Art. I comma I Roma Aut. 114/2009» che in lingua italiana significa che il quotidiano, dopo averne fatto richiesta, fruisce delle «tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali».
Trattasi dei pure famigerati «contributi indiretti» che riguardano le tariffe postali e che nel caso rappresentano, con quelle elettriche telefoniche, «la fetta più grossa distribuita a tutti i giornali»: la definizione è di una celebre puntata di Report andata in onda il 23 aprile 2006.
Sono agevolazioni di cui può giovarsi chi ne faccia richiesta, s'intende: è, anche, il caso de Il Fatto. Ed è il caso, per fare esempi notevoli, de La Repubblica-Espresso che nel 2004 hanno ricevuto 12 milioni di euro, Rcs e Corriere della Sera 25 milioni di euro, Il Sole 24 Ore della Confindustria 18 milioni di euro, Mondatori 30 milioni di euro.
Restando ai soli abbonamenti, per ogni copia spedita, Il Sole 24 Ore invece di 26centesimi ne spende solo 11. La differenza ce la mette lo stato. Nel 2004, nel caso, ci ha messo 11 milioni e 569 mila euro. Ma questi erano appunto i dati del 2004. E oggi? E, per quanto c'interessa, nel caso de Il Fatto? Dipende dallo scaglione di sconto.
Il quotidiano diretto da Antonio Padellaro vanta 45mila abbonamenti dei quali soltanto ottomila sono cartacei: gli altri - riferiscono fonti interne al giornale - sono tutti online, spediti in formato Pdf. Lo sconto dipende dal peso fisico del giornale, che nel caso è attorno ai 200 grammi e appartiene quindi allo scaglione che prevede uno sconto del 50 per cento; la tariffa di 26 centesimi per copia scende perciò a 13. Ergo, fanno poco più di mille euro. Al giorno.
Calcolando le 312 uscite annuali de Il Fatto (che il lunedì non è in edicola) fanno circa 325mila euro che non vengono pagati e che le Poste si fanno rimborsare dallo Stato, cioè dal contribuente, come si dice. Dai cittadini, direbbe Di Pietro.
E un Beppe Grillo? Come lo direbbe? Più o meno come lo fece il 6 marzo 2008 sul suo blog, mentre preparava il Vaffa-day del 25 aprile successivo: «Berlusconi, De Benedetti, la Confindustria e il salotto buono di Rcs si fanno pagare i costi del telefono, della luce e dei francobolli per le spedizioni. Sono contento. I più ricchi imprenditori italiani lo sono anche per merito nostro. Quando lo psiconano leccherà un francobollo gratis per spedire Panorama, penserà a noi con affetto sincero».
Ora: se Il Fatto fruisca anche di agevolazioni per la luce e per il telefono noi non sappiamo, anche se non stupirebbe né scandalizzerebbe. Ma per i francobolli, come detto, sì, c'è scritto in testata. Padellaro e Travaglio posso ringraziare a loro volta.
Invece si lamentano. Su Il Fatto di ieri, a pagina 10, compare un riquadrino titolato «Un colpo ai giornali» in cui si condanna «la riduzione delle tariffe postali che riguardano 8000 testate».
Cioè: abbattono il grosso dei soldi elargiti alla casta giornalistica (Grillo ci promosse un fallito referendum) e a Il Fatto non sono contenti. Per niente: «L'intervento», si legge, «cancella i 50 milioni di euro di rimborsi alle Poste e rischia di incidere anche sui costi degli abbonamenti in corso, penalizzando i gruppi che si affidano meno all'edicola».
Esempi da fare? Eccoli: «Il Sole 24 Ore o Italia Oggi». Basta. Il Fatto dimentica di citare Il Fatto. E Marco Travaglio, probabilmente, spera che qualche grillino dimentichi ciò che disse lui stesso arringando la folla del 25 aprile 2008, quando tuonò contro i finanziamenti all'editoria (tutti i finanziamenti all'editoria) pur scrivendo sull'Unità che percepiva dei contributi diretti milionari, allora come oggi. Ora invece scrive su Il Fatto, che i contributi li percepisce indiretti. E ha un bel contratto con la Rai, pagata con il canone".

4 commenti:

  1. Non sono d'accordo con il "face off" che è stato messo sul blog. Facci e le sue idee non c'entrano nulla con questo blog.

    Quelli del fatto portano avanti la battaglia contro i finanziamenti pubblici all'editoria perchè è evidente come la stragrande maggioranza di questi finanziamenti sorreggano gruppi editoriali fittizzi (organi di partito, giornali poco piu che di famiglia, come "il campanile" di mastella...) o di cortissima diffusione.

    In teoria l'eterogeneità dell'editoria è una ricchezza per una paese, quindi a priori non ci vedo nulla di male nel contributo pubblico. Se i soldi pubblici servono a far stare in piedi gruppi come il manifesto, e tanti altri, che rifiutano di avere padroni, editori con alle spalle politica e industria, sono contento.

    Allo stesso modo mi pare giusto finanziare con soldi pubblici la cultura, il teatro, il cinema, l'istruzione, la sanità ecc...

    Si tratta di servizi e attività che rappresentano ricchezze per un paese, che servono a farlo sviluppare ed evolvere e che in questo mondo capitalista e neoliberista, senza contributi pubblici (a fondo perduto) non starebbero in piedi.

    Questo per dire che non sono d'accordo alla campagna di coloro che vorrebbero eliminare tali contributi.

    Detto ciò, rispetto la posizione contraria alla mia e proprio perchè sono convinto delle mie idee, non ci vedo nulla di male nel fatto che lo stato contribuisca nelle spese di spedizione dell'informazione presso ognuno degli abbonati, anche a quelli dei giornali contrari ai finaziamenti stessi.

    Piuttosto potremmo discutere del fatto che il servizio postale non è più pubblico, ma privatizzato e molto piu costoso e meno efficiente, potremmo discutere dell'opportunità di dare il contributo a chi distribuisce le copie del giornale solo ad amici e parenti, a chi assume in redazione solo amici e parenti (vedi semrpe il caso mastella o foglio), potremmo discutere a lungo dell'applicazione di un principio (quello del contributo pubblico) a mio avviso importante.

    La polemica di Facci non la condivido: per me se il fatto (che non è Travaglio, ma un insieme di persone tra le quali c'è anche lui) percepisce dei contributi pubblici per le spedizioni mentre porta avanti la campagna contro i contributi pubblici all'editoria (che comunque sono cose diverse), non è uno scandalo. Certo non saranno dei santi, non saranno le persone piu coerenti del mondo.

    La polemica di Facci è solo strimentale, secondo me, a difendere uno status quo (che non mi va bene andrebbe profondamente cambiato), che permette agli amici di questa politica di esistere e mangnare, e a qualche poveraccio di tirare avanti.

    bona...

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  2. Probabilmente hai ragione: la polemica di Facci potrebbe essere strumentale e, viste anche le argomentazioni, tesa a lasciare invariato lo stato delle cose, che non è affatto buono. Facci ha però dato una notizia: il Fatto prende contributi indiretti. Il rozzo Face/off voleva domandare: il Fatto, dato che si giudica migliore e più trasparente degli altri, non dovrebbe evitare di prendere quei soldi? E non mente un po' alla maniera di B. se si vanta di non ricevere finanziamenti pubblici?

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  3. Faccio l'avvocato del diavolo.

    Il contributo dello stato per le spedizioni postali è a beneficio di chi lo riceve a casa, "il fatto", come gli altri giornali, materilmente non riceve una lira.

    Si tratta di un contributo che è destinato a una vasta gamma di prodotti editoriali, non solo i quotidiani. Vuole essere un sistema per aiutare la comunicazione (...parliamone).

    La spedizione è scontata e la differenza la mette lo stato. Se hai n abbonamenti lo stato spende n volte questa differenza. Quindi se di abbonamenti non ne hai, lo stato non spende.

    Ma resta il fatto che le redazioni non vedono un soldo di denaro pubblico da questo tipo di contributi.

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  4. Allora neanche la Fiat che vende auto con gli incentivi. In teoria i soldi dello stato aiutano chi compra l'automobile, che la paga meno, e non l'industria che guadagna esattamente lo stesso se ci sono gli incentivi oppure no. È lo stesso discorso che ha fatto Montezemolo qualche tempo fa.

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